Dall’Inghilterra

Salve Camilla, perdona l’intrusione, ma la spinta a scriverti e’ nata in seguito alla lettura del tuo articolo nell’espresso riguardo a tuo figlio in rosa. Siamo una famiglia di origine italiana a lungo residente in Inghilterra (meno male!) con un figlio, il minore, che da quasi 3 anni segue il percorso neccessario in seguito alla diagnosi di gender disphorya. Sarebbe interessante uno scambio di esperienze, naturalmente senza obbligo alcuno.

Tanto ci sarebbe da dire riguardo i vari stati d’ansia…..sono fasi diverse e obbligatorie. La mia esperienza di madre l’ho vissuta in principio come fosse stato un lutto, come che mia figlia (anche se mai sia stata tale se non biologicamente) fosse morta. Poi attraverso la terapia e lo scambio di esperienze con altre famiglie, la realizzazione che il mio stato d’animo non fosse un caso isolato ho capito che L. e’ la stessa persona, solo piu’ sereno , ma non posso negare che predico con ansia l’effetto della assunzione del testosterone, i cambiamenti fisici saranno importanti…lo perdero’ di nuovo un pochino.

Comunque il protocollo che eventualmente porta alla diagnosi e’ comunque e giustamente lungo. Il problema in italia (come confermato da una cara amica endocrinologa) e’ che non esistono strutture idonee.

Il tuo è  un ragazzino intelligente e ancora molto giovane, vedrai che andra’ tutto bene, alla fine il supporto fondamentale (come confermano gli specialsti) avviene in famiglia. Noi facciamo parte di un network di famiglie che si incontrano regolarmente una volta al mese, mentre i nostri figli in contemporanea parlano delle loro cose in una camera separata. Con la maggior parte di loro si e’ oramai instaurato un bellissimo rapporto, inutile poi sottolineare l’immenso aiuto a livello emotivo. Spero tanto di potervi incontrare un giorno.

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