Si chiama Emanuela e basta.
Basta discussioni.
Basta commenti.
Basta illazioni.
A Trapani una donna di nome Emanuela (appunto) ha ottenuto la rettifica di nome e genere pur non facendo alcuna terapia ormonale e dichiarando di non volersi sottoporre ad alcun intervento chirurgico.
Evviva!
Non è questo che vogliamo? La libertà di poter essere? La depatologizzazione? L’autodeterminazione? La distinzione tra anatomia e genere?
Eppure all’interno della stessa comunità transgender si sentono commenti sulla stranezza e l’incomprensibilità della cosa: una persona che si sente donna ma non vuole “eliminare” il suo organo genitale; una persona che si sente donna ma non vuole fare terapia ormonale; una persona che si sente donna ma non è interessata a rientrare nella narrativa comune su come debba apparire una donna per essere socialmente riconosciuta come donna.
Come è possibile che persone che per prime hanno dovuto combattere per farsi vedere perché contraddicevano la norma comune ora facciano la stessa cosa con una persona che contraddice la “loro” norma?
Che cosa fa Emanuela che non va? Che cosa toglie?
Ogni diritto ottenuto è solo un diritto in più per tutte le persone.
La storia di Emanuela non toglie nulla ma anzi aggiunge: aggiunge la possibilità di esistere in un altro modo ancora.
Sento che si teme che questa sentenza, abbattendo di fatto paletti importanti da seguire nella comprensione comune, metta ancora di più in crisi il sistema e quindi metta a rischio l’accesso ai diritti delle persone transgender.
Cioè “trans sì ma in un certo modo”. “Trans sì ma con un buon passing”. “Trans sì ma non troppo in modo da non mandare del tutto in crisi il patriarcato che poi chissà che fa”. Questo sembrano voler dire le persone che criticano la sentenza o che ne hanno paura.
La verità è che il sistema è già totalmente in crisi. Non è una Emanuela a metterlo in crisi. Emanuela mette in evidenza ciò che già esiste e che esiste anche all’interno di parti della comunità trans stessa.
Non vogliamo nuove Cloe Bianco, ma poi ci troviamo anche noi a discriminare solo per paura di perdere dei diritti.
Non è lo stesso pensiero che fa la destra – e pure la sinistra e pure il centro e pure il vicino di casa – quando pensa che i diritti non siano cumulabili?
La storia di Emanuela può non essere comprensibile ma è la sua storia: non chiede di essere compresa. Chiede solo di essere rispettata.
La storia di Emanuela è una grande vittoria per l’Italia e per la libertà.