Sapete qual’è il vantaggio per una persona transfobica di vivere in un paese come l’Italia in cui poche persone parlano le lingue? Che basta avere un po’ di abilità col web e google translator e ci si può spacciare per “fine studioso intellettuale” facendo un semplice copia-traduci-incolla degli articoli esteri fregandosene delle fonti.
Prendiamo un articolo a caso, giusto per fare un esempio: l’articolo uscito ieri su Il Foglio a firma di Marina Terragni dal titolo “La stiratura del seno è l’ultima frontiera dell’“affermazione del genere”. Leggerlo e smontarlo è in realtà un attimo. Vi mostro le cose principali perché è inutile perdere troppo tempo.
- Gran parte dell’articolo è copiato pari pari dal National Review – che del resto la Terragni cita. Peccato che il National Review sia una testata online famigeratamente transfobica i cui collaboratori e collaboratrici scrivono sempre contro l’affermazione di genere. E non solo. In questo caso l’articolo è scritto da Wesley J. Smith. Smith è un avvocato membro del Discovery Institute che sostiene concetti pseudoscientifici sull’Eccezionalismo Umano, combatte l’ambientalismo ed è contro i diritti degli animali. Serve aggiungere altro?
- Nell’articolo si nomina un presunto studio della Vanderbuilt University menzionato stranamente senza link nè qui nè nel Daily Mail Online dove è nuovamente nominato. Peccato che il Daily Mail sia considerato dal Media Diversity Institute (organizzazione che lavora a livello internazionale per promuovere l’alfabetizzazione mediatica e informativa, combattere la disinformazione e facilitare la copertura responsabile delle questioni legate alla diversità nei media locali e internazionali) come un produttore di Troll su tutto ciò che riguarda l’affermazione di genere. Non solo: la Vanderbuilt University che si trova in Tennessee, uno degli stati più transfobici degli Stati Uniti, è stata costretta dai leader repubblicani del governo a sospendere qualsiasi percorso di affermazione di genere.
- Nell’articolo si danno un sacco di numeri (fa sempre molta scena) e si parla di 48019 persone transgender minori di età che in 3 anni si sono sottoposte a chirurgia di qualche tipo. Sembra un numerone no? Be’, considerando che la popolazione under 18 statunitense è composta da 76 milioni di persone, la percentuale divisa in tre anni traduce quel numerone allo 0,02%. Non mi pare quindi una epidemia contagiosa.
- Le citazioni sono un po’ come i numeri, ti danno quell’aria da sapiente e cosa c’è di meglio che fare citazioni che la maggior parte dei lettori e delle lettrici darà per valide perché non sanno di che parli? Peccato che chi è preparato riconosca al volo le frasi estrapolate dai contesti e usate ad hoc – mi riferisco per esempio al citazione di Jack Halberstam (che lei chiama con il dead name facendo quasi pensare che non sappia che abbia intrapreso un percorso di affermazione di genere e pure la “top surgery”) o Marcel Gauchet, o Johanna Olson-Kennedy che nelle sue conferenze fa discorsi ben diversi da ciò che viene riportato. Ma tanto chi si mette ad ascoltare i video della Olson-Kennedy o dei suoi colleghi e colleghe se non la sottoscritta e poche altre persone?
- L’autrice basandosi sempre sull’articolo del National Review spara duemila costi, spese, soldi, business “del gender” (lo chiamo io così ma sono sicura che a lei piace) probabilmente pensando che noi lettrici (perché si rivolge alle Boomer come lei, dice) siamo così sceme da non sapere che il sistema sanitario statunitense è privato. Che lì tutto dipende dalle assicurazioni le quali non ti pagano interventi a casaccio. Manco per niente. Le assicurazioni per poter eseguire un’operazione chirurgica pretendono purtroppo dei certificati medici che attestino la necessità dell’intervento e l’intervento non lo eseguono se la persona non è per esempio in terapia ormonale. Per essere in terapia ormonale da uno o due anni, ve lo dico io che lo so, non puoi avere 12 anni, come sostiene l’articolo; a 12 anni una persona transgender sta assumendo forse i bloccanti della pubertà e se sta assumento i bloccanti non ha alcun seno da rimuovere perchè non si è sviluppato. Tutto molto logico e semplice. Mi stupisco che anche l’autrice non ci sia arrivata. Forse perché non conosce la sanità USA o come funzionano i percorsi di affermazione di genere? Chissà.
A conclusione aggiungerei tre cose.
La prima è un consiglio per chiunque condivida tutta questa serie di idee alquanto irreali e bizzarre raccontate nell’articolo: non è semplice essere accolti ma secondo me tra i quaccheri o i membri della Chiesa di Gesù Cristo dei Santi degli Ultimi Giorni (anche detti mormoni) oppure i mennoniti o gli amish potreste vivere meglio. Loro sono certamente più legati alle tradizioni, alcuni di loro rifiutano il progresso e sono felici, hanno una media di 7 figli (avuti in maniera “tradizionale”), non lasciano uscire con qualcuno prima dei 16 anni, non apprezzano che ci si tingano i capelli o si abbiano piercing (solo un orecchino per lobo in maniera simmetrica). Tante cosine così che secondo me vi farebbero vivere più sereni. In più per esempio nello Utah, dove si trova la sede dei Mormoni, ci sono anche delle belle piste da sci. Pensateci.
La seconda è una osservazione: io leggo tanti articoli in varie lingue e spesso ne leggo anche di transfobici, ma mai viene usato un linguaggio così idiota (regina delle senza-tette – maschi che si tengono i gioielli) perchè anche il peggiore dei reporter di Fox News sa che, se anche porti avanti un’istanza poco intelligente, devi farlo seriamente. In Italia non riusciamo nemmeno a essere transfobici professionali.
La terza è una domanda: l’unica cosa giusta dell’articolo è, cito: La gran parte delle legislazioni nazionali non chiede più l’intervento chirurgico “maggiore” per riconoscere l’identità di genere e la pratica è un po’ in declino. Ma se togliendo l’obbligo a questo intervento per ottenere il cambio anagrafico il numero delle persone che scelgono di farlo è sceso, non viene il dubbio a queste persone impreparate che forse chi crea urgenza, problemi, stress sono proprio loro?