Torno adesso da una bella festa di compleanno. Compiva gli anni una compagna di classe di mio figlio più piccolo e sapevo che c’erano anche delle compagne di L. Ho cercato di portarli tutti e due, ma L. durante il weekend si impigrisce ed è difficile portarlo fuori di casa. Così lui e mia figlia sono rimasti a casa a vedere un film. Mia figlia è abbastanza grande e la festa era quasi sotto casa. Arriviamo e c’era una bella atmosfera. Tanti bambini che giocavano, un bellissimo buffet e due bravi animatori che li tenevano impegnati. Mio figlio si butta subito nella mischia e io saluto un po’ di genitori. Le compagne di L. mi vengono incontro e mi chiedono dove sia e sono molto dispiaciute quando dico loro che è rimasto a casa. Sono quasi tentata di chiamarlo e dirgli che lo vado a prendere. Subito dopo però mi accorgo che i due ragazzi dell’animazione, un ragazzo e una ragazza, si sono messi a dipingere le facce dei bimbi. La ragazza dipinge le bambine, il ragazzo i bambini. Forse è solo un caso. Ai maschi vengono fatte bellissime maschere di spiderman rosse e nere. Alle bimbe cuori e stelle glitter e nasini e baffi da gattine. So che se L. fosse stato lì ovviamente si sarebbe messo in fila con le bimbe. E so che ovviamente gli sarebbe stato chiesto il nome.
Non conosco tutti alla festa. E improvvisamente vengo presa dall’ansia. Con quante persone mio figlio si sarebbe dovuto giustificare? Certamente non parevano persone giudicanti. Non era quello il punto. Comunque avrebbe dato nell’occhio. Comunque sarebbe venuto fuori che era un bimbo in fila con le bimbe. Sicuramente qualcuno lo avrebbe guardato e si sarebbe fatto due domande. Sicuramente non avrebbe trovato le risposte. E sicuramente a me non sarebbe andato di darle. Decido di non chiamarlo. Inizio a domandarmi se la sua pigrizia del weekend non sia invece la necessità di una safe zone in cui non deve render conto a nessuno. Io mi sento schiacciata dagli altri, anche se in verità non hanno fatto nulla e il problema nemmeno sussiste visto che lui non c’è. Eppure non riesco a smettere di pensare quanto tutto questo pesi su di lui ogni giorno.
In queste occasioni i bambini alla fine giocano sempre e a loro poco importa, ma gli adulti sono inevitabilmente confusi. Perché l’atmosfera diventa spesso surreale. Alcuni bambini spesso con una naturalezza totale si rivolgono a L. al femminile e L. ci è talmente abituato che non ci fa nemmeno caso. Altri invece gli parlano al maschile. E anche il quel caso lui non fa una piega. Ma i grandi sono divisi tra quelli che si sentono in imbarazzo quando i loro figli si rivolgono a lui al femminile e quasi si scusano e a volte cercano di correggerli. E quelli invece che rimangono basiti di fronte alla naturalezza con cui noi ormai accettiamo pronomi e desinenze degli aggettivi: lui, lei, tuo, tua, brava, bravo. Per fortuna poi c’è anche una parte di persone che non ci fanno nemmeno caso. Ma io cerco di parare il colpo per tutti e mi sfinisco in un susseguirsi di tensioni che a volte sono difficili da gestire.
Così ero lì oggi con un leggero senso di colpa per non averlo chiamato e un totale senso di ingiustizia nei confronti dei bambini come lui che si trovano a dover ogni giorno affrontare le opprimenti leggi degli stereotipi di genere, stereotipi della cui esistenza loro non hanno alcuna colpa. Questa bellissima festa ha rappresentato per me il concentrato di una realtà cui noi facciamo fatica ad appartenere. Eppure ci siamo dentro. Di colpo ho sentito l’oppressione degli spogliatoi degli sport che L. non fa proprio perché non saprebbe dove cambiarsi, dei centri estivi dove non vuole andare perché non gli va di ripartire da zero con gruppi di bambini e educatori a cui dovrebbe raccontare se stesso, della spiaggia dove non andremo perché “che costume mi metto?” e il peso di “tutti gli altri da noi” insieme a cui sono davvero stufa di render conto. Oggi ho sentito palpabile la sensazione che tutto questo mi dà: è come se tutti fossero vestiti e noi invece ci trovassimo nudi. Come se le persone volessero sempre in qualche modo spogliarci e noi fossimo costretti a farlo e a rimanere lì nudi di fronte a tutti. Non so come fare a farvi capire: forse qualcuno di voi si è separato o magari ha perso una persona cara o ha perso il lavoro….avete presente i primi giorni quando la cosa è ancora fresca e voi siete stanchi e tristi e non vi va di dover affrontare chi vi chiederà notizie o solo vi dirà che vi è vicino? Anche un gesto gentile in quei giorni diventa invadenza perché quel punto per voi è scoperto e avete bisogno di vivere in intimità la vostra condizione. Sapete che nessuno sta agendo con cattiveria o malizia ma a voi non andrebbe di dover affrontare l’argomento e basta. Ecco la sensazione è un po’ quella. E quella voglia di non uscire per non dover parlare è il motivo per cui tanti bambini e ragazzi come il mio finiscono per fare vita privata perché nelle loro quattro mura si sentono liberi.
Tutto questo non dovrebbe accadere. E’ l’unica cosa che posso dire con certezza!
5 thoughts on “La festa di compleanno”
Cara Camilla,
condivido ogni tua parola. Per me le feste di compleanno sono oramai solo motivo di ansia sia per il presente (vedendo la reazione del mondo “adulto” di fronte ai gusti di mio figlio ) ma soprattutto per il futuro, quando penso alla società con la quale mio figlio si troverà a “fare i conti” ogni giorno. Anche per questo ti ringrazio tantissimo per ciò che stai facendo. Scoprire il tuo blog per me ha significato sentirmi meno sola. Un abbraccio forte.
Vivo più o meno.la stessa situazione. D’ora in poi.ti seguirò sempre è mi.chiedo se posso.parlare direttamente con te
Ciao Camilla, arrivo al tuo blog da un articolo su La Stampa. Ho tre figli e la mia famiglia è nata e cresce all’estero, dove vivo da più di dieci anni. Mio figlio primogenito ha 9 anni e nella sua classe una bambina è a tutti gli effetti un maschietto. Ciò non crea tensioni o disagi alcuni tra di loro, in quanto la compagna ha spiegato (parole riportate da mio figlio) di essere sia maschio che femmina. Vorrei chiederti qual è il modo migliore, per una famiglia come la mia ad esempio, per approcciare una situazione come la tua, o quella della compagna di mio figlio. È normale per un bambino come il mio chiedere ad uno come il tuo se è maschio o femmina (i bambini sono candidi fino alla crudeltà e curiosi, ma con la curiosità, se non fine a se stessa, combattono l’ignoranza), o una domanda del genere causa disagio? Mi metto nelle tue scarpe e immagino la difficoltà nello spiegare una situazione fluida, ma capisco anche le difficoltà di genitori e bambini nel cercare di imparare con tatto senza essere accondiscendenti e trattare tuo figlio da “diverso”, quando diverso non è. I bambini imparano confrontandosi e facendo domande, ma quali domande sono giuste e quali sono invasive? Quali questioni meritano di essere approfondite e quali sono superflue e fanno solo soffrire? Vi auguro serenità e gioia nel futuro, di coraggio ne avete già tantissimo.
Agnese
Ciao Camilla,
Ho due figli maschi, 2 anni e 5 mesi, non ho idea se saranno gender fluid. Ho letto con attenzione i tuoi post e mi sono stati estremamente utili: che sia questione di genere o di essere diversi per qualsiasi altro motivo (grassi, magri, belli o brutti) il punto è proprio la ‘diversità’. La nostra società ci imbriglia, classifica, inscatola in categorie e stereotipi dai quali appena si esce ci si ritrova allo scoperto. Spero di riuscire a trasmettere ai miei bimbi la cultura dell’accoglienza per le differenze e che a loro volta possano arricchire gli altri con le loro. Fai sembrare il mio compito molto più semplice! Grazie
Ciao Camilla (abbiamo lo stesso nome 🙂 ) intanto mi fa piacere condividere tutto quanto detto negli altri commenti, ebbene si è vero gran bel lavoro continua così, noi di tanto in tanto staremo come segugi a leggere di “nascosto” i tuoi cari articoli.
Un bacione Camilla, Camilla *.*