Ogni volta che metto una foto di mio figlio non lo faccio a cuor leggero. Un po’ perché internet è un postaccio e un po’ perché so che più della metà delle persone che conosco (più di quelle che non conosco) pensa che stia sbagliando ad affibbiare un’etichetta a mio figlio e soprattutto l’etichetta di “persona transgender”.
So che molti pensano questa cosa perché comunque continuano a dare un’accezione negativa alle parole (e alle persone) transgender e transessuali. Mio figlio effettivamente attraversa il confine dei generi, inutile far finta di nulla e assurdo pensare che sia male.
Quello che dovrebbe diventare molto chiaro è che la foto di mio figlio (come quelle di altri bambini transgender come John Pitt della foto di copertina) associata alla parola transgender non ha e non deve avere nulla di differente da quella del vostro (figlio) accanto alla parola ‘campione di calcio’ o ‘cresimato’. Finché ci vedrete una differenza saranno i vostri occhi a dover essere educati. E questo non lo dico per criticare perché io per prima ho dovuto educare i miei. Ho dovuto insegnare al mio cervello a pensare diversamente.
Il mondo cambia e la conoscenza rende consapevoli. Ciò che tempo fa pareva strano e sconosciuto oggi è diventato normale e accettato. Siamo spettatori oggi di un cambiamento rispetto al modo di esprimere se stessi. A dir la verità ci sono luoghi che da tempo sono spettatori di questi cambiamenti o, come meglio direi, di queste libertà e di questo rispetto del prossimo. Ricordo che quando io ero ragazzina chi era un po’ alternativo sognava di andare a Londra. Lì a nessuno fregava nulla se avevi i capelli verdi o rasati con la cresta. Lì le persone venivano rispettate in quanto tali. Da noi invece “apriti cielo”.
Il mondo cambia e la conoscenza rende consapevoli. Ciò che tempo fa pareva strano e sconosciuto oggi è diventato normale e accettato. Siamo spettatori oggi di un cambiamento rispetto al modo di esprimere se stessi. A dir la verità ci sono luoghi che da tempo sono spettatori di questi cambiamenti o, come meglio direi, di queste libertà e di questo rispetto del prossimo. Ricordo che quando io ero ragazzina chi era un po’ alternativo sognava di andare a Londra. Lì a nessuno fregava nulla se avevi i capelli verdi o rasati con la cresta. Lì le persone venivano rispettate in quanto tali. Da noi invece “apriti cielo”.
Nei miei lunghi viaggi in treno osservo le persone nelle stazioni, nei vagoni con me….credetemi: quando si oltrepassa il confine italiano….si ha molta più difficoltà a stabilire il genere delle persone. Ma una cosa certa è che sono tutte persone per bene.
Mio figlio è un bambino per bene. La sua unica preoccupazione qui in Spagna adesso è tornare a essere uno dei più bravi della classe e a causa della lingua di cui non è padrone fa un po’ fatica. Per il resto….è amato da tutti. La maestra gli ha già chiesto scherzando se voleva andare un paio di giorni da lei.
Perché tutta questa “perfezione”…tutta questa bellezza, stona con la parola “transgender”?
Io sogno che invece un giorno si arrivi ad associare “transgender” a puro e bello, come puri e belli sono i nostri bambini. O ancora meglio sogno che a nessuno freghi nulla se il prossimo è maschio, femmina, transgender, transessuale, cisgender, queer, binario, non binario….
Mio figlio già oggi direbbe:
CHISSENEFREGA!
One thought on “foto si o foto no?”
“io per prima ho dovuto educare i miei. Ho dovuto insegnare al mio cervello a pensare diversamente.”
Vale anche per me. Siamo cresciute in un mondo in cui spaventa di più un bambino con la gonna che un bambino che sferra un pugno ad un altro.
Ma con la conoscenza, l’ascolto, l’empatia ed il ragionamento, lo sguardo per fortuna cambia.