Mi sento quasi in colpa, anche se sono estremamente felice, per la semplicità e rapidità con cui mia figlia ha potuto iniziare i bloccanti della pubertà. Ad oggi, nonostante la sua varianza di genere, cioè il suo essere una bellissima adolescente a cui erronemente alla nascita hanno assegnato il sesso maschile (e quindi il genere e tutte le aspettative ad esso correlate) mia figlia non aveva mai visto un medico. Scrivo “nonostante” perchè purtroppo sappiamo tutti quanto in Italia le giovani persone transgender insieme alle loro famiglie debbano fare percorsi abbastanza lunghi, tortuosi e combattuti per poter far riconoscere l’identità di genere dei propri figli e delle proprie figlie. Io, che da qualche anno vivo in Spagna, ho potuto invece godere dei vantaggi di un paese in cui essere persone trans – di qualsiasi età – vuol dire essere persone a basta. Per questo mi sento un po’ in colpa per i privilegi, un po’ arrabbiata (tanto per cambiare) nel vedere quanto in realtà è semplice ma anche un po’ felice di poter trasportare la nostra esperienza nel nostro paese.
Quando a marzo dell’anno scorso è arrivato il lockdown, il primo pensiero di mia figia è stato: “mamma e se arriva la pubertà proprio adesso?”. Così avevo chiamato il centro identità di genere, quello stesso centro dove io ero stata a parlare ma che non aveva mai voluto vedere mia figlia. Il fatto che io dicessi che era serena, che viveva nel genere in cui si sentiva felice, era sufficiente. Perchè ero io l’esperta. Non loro. “Prendi un appuntamento quando vedrete che la pubertà è alle porte” mi aveva detto lo psicosessuologo. Tre anni e mezzo fa. Così ad aprile dell’anno scorso, scoppiata la pandemia, gli avevo mandato una mail in cui esprimevo le preoccupazioni di mia figlia. Lui ci aveva tranquillizzate dicendo che comunque i cambiamenti della pubertà non sono così veloci e che avevamo tutto il tempo per prendere un appuntameno anche sul finale dell’estate. E così abbiamo fatto. Ci siamo presentate da lui ai primi di settembre e lui aveva già la scheda di mia figlia pronta con tutte le cose che io gli avevo raccontato. Non le chiese praticamente nulla. Gli bastava guardarla e parlare di “come va a scuola” per capire che è una bambina. E’ evidente. Non lo doveva stabilire lui. Le spiegò così, tranquillamente, quali sarebbero gli steps da seguire e cioè andare dall’endocrinologa pediatrica che avrebbe valutato il livello di pubertà e stabilito se era il momento giusto per prendere i bloccanti della pubertà.
Dopo poche settimane eravamo già nell’ ambulatorio della dottoressa che valutava che eravamo arrivate nel momento perfetto. I bloccanti della pubertà infatti vanno somministrati al secondo stadio della scala di Tanner e noi eravamo proprio giuste giuste lì. Così la dottoressa ci aveva fissato le analisi del sangue e la radiografia al polso – per stabilire la crescita ossea. (Ovviamente parlo al plurale ma non le ho fatta anche io! Si chiama malvagio protagonismo materno!)
Oggi siamo tornate all’ambulatorio. La dottoressa che l’altra volta ci aveva lasciato dei fogli con tutte le informazioni sui bloccanti, pro e contro ecc, ci ha chiesto se avevamo domande. Non ne avevamo molte. Ci siamo fatte spiegare qualcosa. E ci ha dato la ricetta. Ci sentiremo telefonicamente ad aprile per sapere come va e dopo aver fatto un’altra analisi del sangue per vedere se i bloccanti stanno funzionando bene o se c’è qualcosa da sistemare e poi a giugno ci vedremo per capire come procedere e quando magari iniziare a inserire gli estrogeni a seconda di come mia figlia si sente.
Se non ci fosse il carico emotivo che da madre inevitabilmente mi porto e se non ci fosse la fatica e la consapevolezza che invece mi porto come attivista, non sarebbe stato nulla di più semplice.
Che anche l’approccio italiano diventi così è il motivo per cui combatto ogni giorno. Che le giovani e meno giovani persone trans possano vivere serenamente la loro identità pure.
A volte mi viene detto che non sarei dovuta andare via dal’Italia, o che perchè non vivo in Italia non posso permettermi di parlare. Io invece credo sempre più fermamente che sia essenziale conoscere molto bene altri approcci e altre realtà per poter “importare” con serietà e cognizione di causa ciò che aiuta * nostr* figl* transgender a essere persone felici.
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