Ormai sono passati molti anni da quando per la prima volta ho approcciato un centro e degli specialisti che si occupano di identità di genere. E sebbene ci sia chi dall’interno parla di grandi cambiamenti, noi famiglie che stiamo fuori onestamente non li vediamo. Non solo non li vediamo, ma la sensazione che ho è che si stia andando a peggiorare. Gli ultimi eventi politici, che paiono essere i primi di una lunga serie, ci impongono per forza di cose di accelerare i tempi. La verità è che l’informazione che viene fatta è scarsa (e scarso è già un eufemismo) e spesso avviene “all’esigenza” , per esempio se un pediatra o un preside si trova a dover per la prima volta affrontare una questione di identità di genere per un proprio paziente/allievo. Questo vuol dire che la famiglia molto spesso non trova personale già preparato, ma deve essere quella che sprona tale personale a saperne di più.
Trovo questo estremamente ingiusto. Si dimentica che la famiglia che si decide finalmente a chiedere maggiori informazioni o supporto, spesso arriva da un percorso personale lungo e complesso, molte volte fatto di litigi interfamiliari, rischi di divorzio, e giorni di Natale al fulmicotone. Per fare un esempio facile facile: riuscire, dopo mesi di battaglie, a convincere il marito ad andare a chiedere informazioni sul figli* che insiste di sentirsi dell’altro genere – cioè quello opposto alla nascita – e trovarsi di fronte a un pediatra che non ne sa nulla o che peggio ancora si mostra simpatizzante con i dubbi e le perplessità del suddetto marito, fa ripiombare l’intera famiglia nello sconforto. La madre si incomincia anche lei a porre delle domande e farsi venire sensi di colpa; il dubbio si insinua; si autorizza il marito e la famiglia (nonni, zii ecc) a dire che è la mamma che esagera, con la protezione, con le concessioni, con le sue fissazioni. Madre che è invece l’unica che, fra le quattro mura di casa di notte, cerca informazioni vere in rete. L’unica che magari si sta muovendo nella direzione giusta.
Tutto viene lasciato al caso. Alla fortuna di incontrare il professionista giusto.
Oggi ho letto un articolo del 22 agosto che dice che è stato creato il CRIG, il primo centro di coordinamento regionale sull’identità di genere. Ringrazio Roberta che me lo ha girato. Un semplice gesto di un’altra mamma che dimostra che se tutti collaborassimo un minimo e facessimo una piccola condivisione ogni tanto, ci si aiuterebbe uno con l’altro, si sarebbe più informati e quindi più consapevoli e insieme si potrebbe arrivare un po’ prima un po’ più lontano. Ma questo, vabbè, esula da ciò che volevo dire.
E’ stato creato il CRIG, quindi.
E ora vi spiego come funzionano le mie sinapsi. E sono le sinapsi di una mamma con un bambino che dalla nascita vive questa realtà. Non sono una esperta, non sono un medico, non sono un’accademica. Una mamma. Come molte. Un genitore. Quel genitore che dovrebbe essere il primo beneficiario di un supporto durante il percorso di una bambino/adolescente/adulto trans.
Leggo il titolo dell’articolo. Penso: bene, dai, un altro piccolo passo avanti. Che sicuramente è stato fatto.
Eppure, boh. Non son troppo convinta. L’articolo dice:
Tutte le strutture interessate, sia in ambito medico che chirurgico, delle aziende coinvolte, opereranno in stretta sinergia, tenendo conto delle competenze sviluppate e già operanti sul territorio, nello specifico presso l’Azienda Ospedaliero Universitaria di Careggi, l’Azienda Ospedaliero Universitaria Pisana, l’Ausl Toscana Nord Ovest (Consultorio Torre del Lago).
Le sinapsi vanno un po’ in corto.
Possibile che ancora una volta si faccia finta che la questione non parta dai 2-3 anni di vita?
L’AIFA e il comitato etico non hanno appena approvato l’uso dei bloccanti per la pubertà atipica?
I bloccanti non vanno dati quando la persona (non oso dire bambino per non irritare chi grida “giù le mani dai bambini!”) si trova al secondo stadio della scala di tanner che vuole dire poco dopo iniziata la pubertà?
Questo non avviene quando di solito si hanno 11-12-13-14-15 anni?
Quest’età non è pediatrica?
Sì questa età E’ pediatrica. Non ci sono discussioni.
Quindi perché per ogni altra cosa il bambino è pediatrico e per l’identità di genere, cosa così delicata, no?
Come diceva già il DPR n. 149 del 7 aprile 2006 paragrafo 5.1 – la salute nelle prime fasi di vita, infanzia e adolescenza –
…inoltre per quanto attiene all’assistenza ospedaliera occorre rispettare la peculiarità dell’età pediatrica destinando spazi adeguati a questi pazienti (area pediatrica) che tengano conto anche dell’esigenze proprie dell’età adolescenziale e formare in tal senso gli operatori sanitari. Occorre inoltre valorizzare il ruolo degli ospedali pediatrici e dei Centri regionali per l’assistenza al bambino, come punti di riferimento per le patologie complesse.
Ok la nostra non è una patologia, ma rischia di diventarlo e per questo deve essere fatta prevenzione e il modo per fare prevenzione é fare informazione. Come si può fare prevenzione se non esiste alcun barlume di conoscenza sulla questione? Se non tra i quattro soliti noti che se la raccontano tra di loro?
Comunque torniamo a noi: occorre rispettare la peculiarità dell’età pediatrica destinando spazi adeguati che tengano conto delle esigenze proprie dell’età adolescenziale…
Secondo voi far andare una famiglia con un ragazzino presso un ospedale per adulti circondato da pazienti adulti con caratteristiche da adulti per una questione così delicata non solo dal punto di vista sanitario, ma soprattutto da quello umano è giusto? O serve invece un ambiente accogliente dove il bambino/ragazzo non concentri la sua attenzione sul sentirsi malato e sulla paura?
Perché negli ospedali pediatrici ci sono le aree gioco, gli schermi coi cartoni, i libri, i clown? Così per sport o per venire incontro alle problematiche del bambino/ragazzo che è, proprio in quanto tale, una creatura da salvaguardare sopratutto dal punto di vista psicologico in un momento di maggiore esposizione allo stress?
Se esiste la pediatra, come la geriatria, non è perché ogni età ha caratteristiche diverse e richiede approcci differenti?
Andando sul sito del ministero della salute alla pagina “La salute dei bambini in Italia” tra le prime cose vi è riportata la Convenzione ONU sui diritti del bambino.
Secondo la definizione della Convenzione sono “bambini” (il termine inglese “children”, in realtà, andrebbe tradotto in “bambini e adolescenti”) gli individui di età inferiore ai 18 anni (art. 1), il cui interesse deve essere tenuto in primaria considerazione in ogni circostanza (art. 3).
La Convenzione tutela il diritto alla vita (art. 6), nonché il diritto alla salute e alla possibilità di beneficiare del servizio sanitario (art. 24), il diritto di esprimere la propria opinione (art. 12) e ad essere informati (art. 13).
Il percorso che sarebbe giusto esistesse per noi famiglie e per tutti i nostri bambini e adolescenti è e DEVE essere quello che esiste in tutti i paesi esteri e che si svolge all’interno degli ospedali pediatrici.
Andate a guardare le varie pagine web.
il Royal Children’s Hospital Melbourne
il Nicklaus Children’s Hospital di Miami
il Seattle Children’s Hospital Research and Foundation
Potrei andare avanti all’infinito ma potete guardare da soli basta che digitiate Gender Dysphoria or Gender Center e Hospital e vedrete che quasi tutto quello che esce sono ospedali pediatrici (Children’s hospital).
Provate a digitare poi Disforia di Genere e ospedale in italiano…..
Nada!
Curioso no?
Quell’elenco infinito dovrebbe far capire due cose molto semplici: la prima che queste famiglie vanno accolte all’interno di una STRUTTURA PEDIATRICA e la seconda, ancora più importante, che si INTERVIENE in età pediatrica.
PER “SI INTERVIENE” NON INTENDO OVVIAMENTE CHIRURGICAMENTE O DA ALCUN PUNTO DI VISTA MEDICO MA COME INFORMAZIONE E SUPPORTO A CIO’ CHE I GENITORI OSSERVANO NEI LORO FIGLI E AFFINCHE’ POSSANO ESSERE EDUCATI SU COME COMPORTARSI, COME ACCOGLIERLI, COSA ASPETTARSI E COSA FARE QUANDO SARA’ IL MOMENTO.
E quando sarà il momento e per momento intendo l’adolescenza, il cambio del corpo, e il possibile intervento con i bloccanti, la famiglia saprà già a chi rivolgersi, cosa fare, conoscerà i volti e i luoghi. Non si sentirà perduto.
Lo stesso allegato all’articolo sul CRIG scrive che l’80% delle persone adulte con disforia di genere ha riportato esordi del disagio precoce, in età prescolare e aggiunge
L’intervento di sostegno alle famiglie è in questa fase un aspetto indispensabile perché se i bambini vengono rassicurati e sostenuti nel loro percorso evolutivo dai propri genitori, saranno in grado di mediare tra i loro bisogni e il contesto socio-culturale in cui vivono
Eppure le famiglie non sanno dove andare a parare. Perché rivolgersi a un ospedale per adulti col proprio bambino FA PAURA.
FA PAURA! METTETEVELO IN TESTA
Abbiamo paura di cosa possono vedere i nostri figli. Abbiamo paura che si possano sentire malati. Abbiamo paura che i professionisti non sappiano trattare coi bambini. Abbiamo paura della struttura stessa che, purtroppo, spesso non è accogliente quanto un ospedale pediatrico. Abbiamo paura perché i nostri bambini ci chiederanno “ma perché qui son tutti grandi?” o ci faranno domande su altre persone in attesa, domande alle quali non sapremo rispondere. Abbiamo paura di creare paura.
Il Sistema Sanitario Italiano, anche se fa sempre più acqua da molti punti, resta comunque un’eccellenza nel mondo. Però, caso strano, quando si tratta di questioni che coinvolgono la “morale” tutto si ferma e improvvisamente si torna la medioevo. Questo non dimostra quanto ci sia bisogno di svincolarsi dalle ideologie e mettere al primo posto la persona e la sua salute fisica e mentale? Può un medico dover essere cauto perché se fa il bene del paziente ma questo bene va per esempio contro la morale della chiesa rischia di perdere il posto?
Sono cose inaccettabili.
Eppure tutti adottano tutte le precauzioni possibili per non far torto a questo o a quello finendo solo per far torto a chi invece ha bisogno di aiuto.
Ecco perché siamo ancora qui. Ecco perché in tanti anni io da madre non vedo cambiamenti reali, anzi vedo sempre più paura e disinformazione.
Io da madre, cittadina italiana, riproduttrice per BEN TRE VOLTE, pretendo che, se un giorno dovrò andare con mio figlio in ospedale per qualcosa che riguarda la sua identità di genere, quell’ospedale sia PEDIATRICO. Come andrei per qualunque altra questione che riguardi i miei bambini.
Credo che sia un mio diritto, ma soprattutto dei miei figli.
2 thoughts on “Il bambino è pediatrico”
Se già a 6 anni si vedono bambine con gli orecchini, perché mai non si può intervenire chirurgicamente sui cuccioli trans? Cavolo, ma li vogliamo far sentire malati st* benedett@ bambin%? puttana eva, ma quand’è che lo capiamo che se un? si sente trans bisogna intervenire senza neanche chiederlo una seconda volta!
I bambini trans sono comunque bambini e ovviamente intervenire chirurgicamente non si può e non si deve, Questo non cambia il loro essere. L’intervento immediato va fatto nell’accoglienza e nel permettere di vivere nel genere sentito.