Forse a molte persone potrà sembrare impossibile che il proprio figlio o la propria figlia già da molto piccolə dichiarino in maniera chiara sia a gesti che a parole (non necessariamente entrambi) di non riconoscersi nel genere assegnato loro alla nascita in base agli organi genitali apparenti. Eppure capita più frequentemente di quanto si possa credere.
Non serve che dicano in maniera palese “io NON sono…” quello che i genitori pensano. I bambini e le bambine hanno molti mezzi per farci capire come si sentono.
Fin da molto piccolə, anzi fin da prima della nascita, vengono già incasellatə e vengono loro attribuiti ruoli e preferenze in base al sesso senza che nessuno lə abbia interpellatə. Ecco che allora per lanciare un messaggio e affermare la loro vera identità usano loro stessə gli stereotipi di genere. Atteggiamento molto comune nelle bambine assegnate maschio alla nascita è quello di viaggiare per casa sempre con qualcosa in testa: possono essere i pantaloni del pigiama, o uno strofinaccio della cucina attaccato con delle mollette. Qualunque cosa pur di avere una bella chioma lunga. Sentirete spesso dire “Io sono lei!” E lei sarà una principessa, o un’eroina dei cartoni, o qualsiasi cosa rappresenti per loro il mondo “femminile” cui si sentono di appartenere. Per i bambini assegnati femmina alla nascita le famiglie non vedranno molti segnali poichè non allarma la famosa “bambina che fa il maschiaccio”. Potranno chiedere di tenere i capelli corti, si costruiranno personaggi virtuali maschili (es i mii della wii), si identificheranno con Aladino o con l’uomo ragno o il loro eroe di turno. Entrambə nei negozi andranno sparati nelle sezioni maschio/femmina opposte al loro sesso assegnato alla nascita. Questo potrà capitare già in tenerissima età. Mia figlia ha iniziato quado era all’asilo nido. Ma può capitare anche più avanti. Non c’è una maniera giusta, una scaletta di tempi, una regola. Perchè tuttə siamo differenti. Questo è anche il motivo per cui in Italia la questione dell’infanzia trans è così difficile da assimilare. Da una parte certamente esiste un legame molto ferreo con la tradizione cattolica che vuole la famiglia e le persone essere in un certo modo, dall’altra, non essendoci una “regola”, la popolazione italiana, abituata a una burocrazia che scansiona ogni attimo della vita, anche se magari evade tutti gli obblighi è comunque rassicurata dal fatto che ci siano. Si trova quindi persa di fronte alla mancanza di un modulo, una regola e quindi nel dubbio resta attaccata a ciò che conosce: la società patriarcale cis eteronormativa e etero normata (che vuol dire l’uomo per forza eterosessuale che comanda e lavora e la donna che fa figli e li cresce seguendo sempre lo stesso modulo).
Inutile dire che di tutto questo non hanno colpa ə bambinə e che noi genitori dobbiamo assolutamente asservare ogni segnale che da loro potrà giungerci. In qualsiasi momento della loro crescita: che sia a due anni oppure a 13. Fingere che i segnali non ci siano non eviterà che siano trans se lo sono, ma li renderà solamente delle persone infelici. Aspettare che “la fase” passi passerà loro il messaggio di essere sbagliatə e farà loro credere che così come sono non sono degnə del nostro amore.
Essere transgender non è una cosa brutta. Non è da meno che essere cisgender. Purtroppo la narativa che si fa è sempre quella della disgrazia. Leggevo un paio di giorni fa un articolo che si proponeva di essere divulgativo per i pediatri di una regione italiana. Diceva questa frase:
“L’opportunità di utilizzare in età evolutiva il termine varianza di genere invece che transgenderismo o transessualismo (che per altro non si usa più a prescindere ndr) trova conforto nel dato epidemiologico che suggerisce che in media solo una piccola percentuale di minori gender variant manterrà in età adulta una identità di genere transessuale”.
Lasciamo perdere la questione del dato epidemiologico ampiamente superato e la terminogia errata, usare l’espressione trovare conforto invetitabilmente passa al lettore (e quei lettori in questo caso sono dei pediatri che poi perpetueranno lo stesso tipo di approccio con le famiglie) il messaggio che essere cis è meglio che essere trans altrimenti non ci sarebbe bisogno si sentirsi confortati del fatto che ə figliə non siano transgender. Non ci sentiamo confortati dal fatto di avere una figlia bionda piuttoso che castana. Semplicemente abbiamo una figlia bionda oppure castana. Così dovrebbe essere anche per l’idetità di genere: possiamo avere deə figliə cisgender o transgender.
Se sentiamo che una differenza esiste, cerchiamo di cambiare la società e non ə nostrə figliə che sono perfettə così come sono!
One thought on ““Mamma, sono una bambina! Perchè mi tratti da maschio?””
Però mi scusi, in un testo formale come quello che lei cita, “l’espressione … trova conforto” significa solo che “si può usare”, “è giustificabile”: è giustificabile usare l’espressione “varianza di genere” per i piccoli e non subito “transgenderismo” perché spesso si tratta di una manifestazione temporanea.
A me sembra corretto a prescindere usare un termine che faccia capire ai genitori che ancora non si può prevedere se il loro figlio è biondo o castano.