No, non era una fase quella di mia figlia. Cercava in ogno modo di farmi capire che era una bambina. Si metteva le cose in testa per far finta di avere i capelli lunghi. Voleva sempre indossare le gonne e i vestitini, sceglieva i giochi che più le piacevano fregandosene che chiunque, grande o piccolə, le dicesse scandalizzatə “ma sono da femmina!”. Le avevo insegnato che ognunə ha i propri gusti e che se qualcunə le avesse detto qualcosa avrebbe dovuto rispondere così. E così rispondevano anche i suoi fratelli quando qualcunə chiedeva loro: “ma perchè tuo fratello sembra una femmina?”. Il punto è che i suoi non erano “gusti”. Lei era una bambina!
Molto spesso inizialmente facciamo l’errore di dire alle nostre bambine transgender che loro possono scegliere il colore che vogliono, che anche i maschi possono volere giochi considerati da femmina, che il rosa non è esclusivamente un colore da femmina. Facendo così però commettiamo l’errore di pensare che sia solo una questione di espressione di genere, di gusti. In questo modo non lə vediamo davvero.
Le commesse e i commessi regolarmente ci riportavano in quello che secondo loro era il reparto giusto, quello dove, secondo mia figlia, tutto era triste perchè lei voleva pailletes e colori allegri e cose sfiziose. “Ma perchè un maschio deve per forza vestirsi di blu o di grigio o di verde scuro?” Mi chiedeva. E onestamente dopo un po’ anche l’altro mio figlio più piccolo mi faceva la stessa domanda, perchè poi libertà chiama libertà e chi lo ha stabilito che i maschi devono essere tristemente monocolori?
“Non esagerare!”, “Vacci piano!”, “Così è troppo!”, “Stai sbagliando!”, “Che conseguenze avrà tutto questo sugli altri tuo figli?”. Questo e molto altro mi sono sentita dire tutti i primi anni di vita di mia figlia. C’è chi ancora me lo dice e per questo non ci sentiamo spesso perchè onestamente non ne posso più. Ma la frase più bella in tutti questi anni è stata e resterà sempre: “Tu non hai proprio capito nulla: tuo figlio semplicemente è così maschio che si può anche permettere i fare la femmina!”
Io al tempo mi trovavo sola a crescere tre figli di 8, 3 e 2 anni e non avevo troppo tempo per riflettere su cosa fosse il patriarcato, il maschilismo, il machismo, la misoginia. In principio mi concentrai principalmente su cosa volesse dire il comportamento di mia figlia e su cosa fosse l’identità di genere. Solo da qualche anno ho capito che la tanto contrastata identità di genere delle persone transgender – che altro non sono che persone cui alla nascita qualcunə impreparatə ha assegnato loro un genere nel quale non si riconoscono – non era la vera questione ma veniva usata per nascondere un enorme problema sociale che ci riguada tuttə: una società patriarcale, in forte involuzione, che viola i diritti umani come nulla fosse, che non investe nel futuro nè neə giovanə e che usa persone che non c’entrano niente per metterci ə unə contro ə altrə per controllarci meglio.
Delle 130 famiglie come la mia con cui sono in contatto e amicizia ormai da anni, quasi per nessunə è stata una fase. Solamente chi ahimè aveva una situazione famigliare e ambientale non completamente accogliente ha avuto qualche “ripensamento”. E solo il tempo saprà dire quale ne sia stata la causa. Ma la fase è quasi sempre solo un pretesto sociale per invalidare la persona e confondere la famiglia.
No, quella di mia figlia non era una fase. Oggi ha 13 anni, sta continuando la terapia con i bloccanti della pubertà da ormai 9 mesi e tra poco più di un paio di settimane inzierà gli estrogeni e non vede l’ora. Non vede l’ora perchè tuttə alla sua età abbiamo voglia di crescere, di vedere il nostro corpo che cambia, di sentirci grandi. E lei non è diversa da nessunə.
In Italia si dibatte continuamente sul diritto all’identità d genere. Che tradotto in parole povere vuol dire diritto a esistere. Un diritto che è assolutamente impensabile che possa essere negato. Eppure ci provano continuamente.
Capisco che non ha senso dirlo, ma se io potessi tornare indietro lascerei crescere i capelli a mia figlia alla sua prima richiesta, la farei andare a scuola vestita come preferisce, manderei a quel paese tuttə ə cretinə che dicono cretinate. Non aspetterei insomma che la fase passasse perchè non sono fasi. Sono vite che nell’attesa si perdono la loro infanzia.
2 thoughts on “Non era una fase!”
citazione:
“persone transgender – che altro non sono che persone cui alla nascita qualcunə impreparatə ha assegnato loro un genere nel quale non si riconoscono ”
XXXXXXXXXXXXXX
Chiedo scusa, ma per quale motivo la persona che ha “assegnato” il genere alla nascita avrebbe dovuto essere “impreparata”?
Normalmente le persone che registrano la nascita (ostetriche, medici, infermieri, e/o funzionari dell’anagrafe o i genitori stessi) non ASSEGNANO proprio nulla di loro iniziativa, si limitano a registare l’evidenza che vedono.
Tranne casi particolari di intersessualità genetica o di conformazione fisica incerta, la creatura viene registrata con il sesso corrispondente all’anatomia dei genitali visibili, che spesso era anche già confermato diagnosticamente da un’amniocentesi fatta prima.
Se un neonato ha genitali esterni di tipo maschile, se i genitori sapevano già che li avesse perché li aveva già mostrati durante le ecografie precedenti, e se aveva pure un cariotipo XY evidenziato dall’amniocentesi, mi pare OVVIO che venga registrato come maschio (e viceversa per le corrispondenti evidenze femminili di una neonata fisicamente femmina).
Per quale motivo chi lo registra in maniera coerente con le evidenze dovrebbe essere considerato “impreparato”, cioè incompetente o superficiale?
L’ostetrica o l’impiegato dell’anagrafe dovrebbero immaginare sul colpo… che fra due, tre o cinque o dieci anni quel bambino presenterà l’esigenza di identificarsi in un genere diverso, e quindi “assegnargli” subito quello che forse emergerà in futuro? Come dovrebbero fare a prevederlo?
Se fosse così facile riconoscere subità l’assegnazione “giusta” alla nascita, anche contro tutte le evidenze biologiche… perché non ci pensano direttamente i genitori, invece di accusare gli operatori di essere “impreparati”?
No no la mia non è un’accusa agli operatori e alle operatrici. Quel Impreparati vuol dire esattamente quello che dice: qualcuno non li ha preparati perché esiste un sistema non coerente con quella che invece è la realtà delle cose. Se fosse più semplice poter poi spaziare, se fosse più semplice cambiare nome come nella maggior parte dei paesi del mondo, se quella definizione immediata non ti incastrasse in percorsi serrati, sarebbe anche meno problematico. Non credo che bisognerebbe indovinare cosa sarà. Credo che bisognerebbe inscatolare meno o rendere più facile uscire dalla scatola. Anche un’amica neonatologia mia ha detto “così mi fai sentire in colpa ma io che c’entro?” e anche mia sorella dottoressa ha detto qualcosa di simile. Il discorso va ben più indietro nel tempo. Se ci costruisce una convinzione sociale e si manda avanti nel tempo non vuol dire che sia corretta solo per anzianità.