Non so se l’ho già scritto, ma mi è rimasta molto impressa, una volta, una intervista a una donna transgender la quale raccontava di quando le avevano chiesto “Ma lei quando si è accorta di essere transgender?” e la sua sua risposta era stata “Io mai! Gli altri me lo hanno detto!”
Spesso si cade nell’equivoco che certe cose siano una scelta! E’ proprio da qui che credo nasca tutta la polemica “anti teoria gender”. Ecco allora gli oppositori che a gran voce gridano all’assurdità della cosa: “dove finiremo se ognuno potrà scegliere di essere maschio o femmina! Si inizierà allora anche a voler essere un cane o un gatto!” A parte il fatto che, per esempio, se mia figlia volesse essere un ghepardo non ci vedrei nulla di male, il punto che sfugge su questo argomento è un altro: NON E’ UNA SCELTA! Esistono delle caratteristiche estetiche che effettivamente possiamo cambiare….il colore dei capelli, il fisico con diete e palestra, il modo di parlare. Ma ciò che siamo dentro, no. Siamo quello che siamo. Poi c’è chi si “conforma” per quieto vivere alla società con le sue bizzarre regole che si è cucita addosso nei decenni e c’è chi invece no. E sia chiaro la mia non è una critica per chi si conforma. Se questo la rende una persona felice e realizzata va benissimo. Lo scopo della vita è stare bene e trovare ognuno il proprio equilibrio. Di base, però, c’è che siamo tutti ciò che siamo. Volerlo affermare è un diritto, non una prepotenza nei confronti degli altri. Anzi spesso sono stati quelli che hanno lottato per i loro diritti che sono riusciti a migliorare i diritti anche degli altri. Certo io non sono qui a pensare di cambiare il mondo, ma solo a parlare della mia esperienza e se sarà utile anche solo a una, una di numero, mamma come me ne sarò felice. E se le cose per noi comunque non cambieranno o, paradossalmente peggioreranno, avrò comunque insegnato alla mia famiglia che bisogna essere fieri di ciò che si è (fintanto che si rimane nella legalità è ovvio). E se sarò perseguitata per le follie che dico sarà la volta che veramente vado a vivere in Svezia in una fattoria rossa coi bordi bianchi ad accogliere anatre migranti, allevare gatti birmani, organizzare gite per vedere le luci del nord e i miei figli si sacrificheranno a frequentare le scuole pubbliche più belle del mondo!
Vi invito a leggere Erich Fromm “I cosiddetti sani – La patologia della normalità nell’uomo contemporaneo”, una serie di lezioni dello psicanalista e sociologo tedesco. Vi riporto il commento al libro scritto da Fausto Intilla perchè io non saprei scrivere di meglio. Dice:
“Cos’è la normalità? È davvero un baluardo contro la malattia psichica? È giusta la convinzione diffusa che una persona “normale”, sicura di sé, soddisfatta della propria vita e ben adattata alla società moderna dell’abbondanza sia anche una persona sana e serena, immune da nevrosi e depressione? Fromm, vedendo la miseria e le sofferenze umane, si è convinto che esiste anche una “patologia della normalità”, una disposizione alla malattia che nasce dal conformismo e dalla sottomissione alla struttura mercantile delle moderne società occidentali, dominate dal consumismo e dalla crisi dei valori, e dalla mitica idea di progresso della scienza. Individua due meccanismi perversi: l’alienazione, che pervade tutti i campi dell’esistenza (dal lavoro ai rapporti interpersonali, ai sentimenti), che inevitabilmente porta all’asservimento, alla noia e all’apatia; e il narcisismo, individuale o collettivo, che spinge l’uomo a calpestare la dignità dei suoi simili, al rifiuto della vita, alla necrofilia. Per sfuggire a questa passività indolente e alla conseguente depressione, Fromm propone (attraverso la presa di coscienza e il superamento del vuoto concetto di normalità, sempre più spesso sinonimo di omologazione) di costruire una nuova “scienza umanistica” che, forte del bisogno di utopia, della tensione verso la verità e la giustizia, si ponga l’obiettivo di far scoprire (o riscoprire) all’uomo il piacere dell’azione libera e l’amore per la vita.”
Stiamo parlando degli anni 50 e pare impossibile che le cose stiano ancora così.
Erich Fromm scrive “Si può dire che ogni società nutra un peculiare e legittimo interesse per una certa dose di conformità. Si tratta di un interesse che deriva dalla volontà di sopravvivenza della società stessa, la quale in tal modo vuole confermare la propria struttura e la propria specificità. La richiesta di comportamenti improntati alla conformità è però molto accentuata nella vita di ogni giorno. Oggi, nel 1953, non ho certo bisogno di soffermarmi sul conformismo; sarebbe piuttosto il caso di sottolineare come attualmente la sopravvivenza della società dipenda dall’esistenza di alcuni non-conformisti. Se tra gli uomini delle caverne fossero esistiti soltanto conformisti, vivremmo ancora nelle caverne e continueremmo a praticare il cannibalismo. Lo sviluppo dell’umanità dipende da un lato da una certa qual disponibilità al conformismo, ma dall’altro anche dalla volontà e dalla determinazione a non adeguarsi. Ai fini non solo del progresso ma della stessa sopravvivenza di qualsiasi società della specie umana, la disponibilità a non adeguarsi risulta essenziale quanto la tendenza a comportarsi in conformità alle norme che in quella determinata società regolano il gioco della vita”.