La conferenza Epath (EUROPEAN PROFESSIONAL ASSOCIATION FOR
TRANSGENDER HEALTH) termina oggi in Irlanda.
Cerco di analizzare e pensare in maniera più oggettiva possibile senza farmi prendere da manie da attivismo integralista. Ma è dura, eh!
Vado sul sito della conferenza per leggere il programma: no, non sembra avvenuta una depatologizzazione. Tutt’altro. Non parlo della questione medica legata all’endocrinologia o alla chirurgia che indubbiamente va lasciata nelle mani di persone che sanno fare il loro mestiere.
Leggendo il programma tutto sembra tranne che le persone transgender siano considerate persone sane
Uno dei miei interventi preferiti è quello intitolato “Transfobia interiorizzata come barriera per l’accesso delle persone transgender a percorsi di salute”. Cioè: non è che il personale sanitario è impreparato e transfobico. Non è che le persone transgender non sono incluse nei programmi di screening. Non è che vengono chiamate col deadname ogni volta che mettono piede in un ambulatorio. Non è che le strutture sanitarie che si occupano di affermazione di genere si contano sulle dita di una mano in moltissimi paesi…
NO! La transfobia interiorizzata impedisce alle stesse persone transgender l’accesso a cure sanitarie se ne hanno bisogno!
Ci vuole un bel coraggio a sostenere una cosa del genere!
Altro intervento figo (ironicamente) quello che conia la nuova parola: transilienza. Da resilienza. Parola molto usata, resilienza, spesso senza saperne in significato. Normalmente vuol dire la capacità di un materiale di non rompersi quando sottoposto a urti. “I bambini e le bambine transgender sviluppano una grande capacità di resilienza”, sento dire spesso. “Le persone transgender sono resilienti”. Come se fosse una figata e passasse in secondo piano che per essere resiliente devi essere urtatə in maniera pesante. E ora i nostri esperti e le nostre esperte di salute transgenere invece che lavorare sull’eliminazione dell’urto coniano addirittura una nuova parola. Come se, a una persona che sta affogando perché è stata buttata in mare, i Bay Watchers invece che aiutarla le dicessero “che incredibile capacità che hai di annaspare! Sei proprio una persona transannaspatrice!”
Comunque dopo il programma osservo il “Comitato Scientifico” Epath
Psichiatria, psichiatria, psicologia, psicologia clinica, salute mentale.
La mia famiglia è composta al 50% da persone cisgender e al 50% da persone transgender. Credetemi che nessunə ha problemi di salute mentale. Vivo in un paese, la Spagna, in cui la depatologizzazione e l’autodeterminazione non sono parole scritte su carta. Sono atti concreti all’interno di istituzioni pubbliche e private.
Nella mia famiglia due persone producono ormoni naturalmente e due persone sostituiscono con una terapia farmacologica quelli che il loro corpo non produce.
I controlli per vedere che vada tutto bene vengono fatti ogni sei mesi attraverso le analisi del sangue e per il resto si vive una vita assolutamente comune: scuola, amici, amiche, giochi, esami ecc.
Eppure abbiamo un comitato scientifico composto quasi esclusivamente di “espertə di salute mentale” (cisgender e bianchə) che dice chi sono ə mieə figlə.
Questo è un po’ come dire che se mia figlia è scarsa in matematica se ne occupa lə psichiatra. O se mio figlio si sloga una caviglia lo porto dallə psicoterapeuta.
Se la varianza di genere non è una malattia psichiatrica ed è stata depatologizzata perché abbiamo un comitato scientifico fatto solo da espertə di salute mentale (esperti?)?
Ho pensato che forse è perché si chiama “comitato SCIENTIFICO”. E così mi sono andata a guardare che cosa si intende per scienza. Ma scienza è anche la scienza sociale, la scienza umana, che forse più di ogni altra cosa ci aiuterebbero a capire perché il mondo fa così tanta fatica a comprendere. Io lo troverei anche più interessante.
Invece no: psichiatria, psichiatria, psichiatria.
Trovo veramente indegno che si costruiscano carriere “mediche” sulla vita di persone che non sono malate.
Trovo veramente indegno che si facciano ammalare le persone (costringendole alla resilienza) così poi si ha un lavoro.
Trovo veramente indegno che nel 2023 si sia ancora a questo punto dopo una depatologizzazione avvenuta ormai 5 anni fa.
Mi dispiace per le poche persone che stimo all’interno di Epath, ma purtroppo devo guardare alla figura intera e la figura intera non è bella. Quello che appare da fuori non mi piace.
E non è tutto. Mentre si svolge la conferenza Epath, parallelamente si svolge nello stesso luogo negli stessi giorni, la conferenza Genspect “The bigger Picture” organizzata dai gruppi antigender che in giro per il mondo si spacciano per associazioni di famiglie o esperti di genere e invece cercano di “riportare figli e figlie confusə sulla retta via” a suon di testimonianze di “detransizioni” e cose così.
Praticamente nella cittadina irlandese in questi giorni assistiamo a una puntata di Ciao Darwin “Patologizzanti contro Transfobici” – senza schwa.
ps: guarda caso il meraviglioso Dr Zucker, citato sempre a destra e a manca in ogni conferenza sul GENDER che si rispetti, stimato esperto, oggi si trova tra i transfobici pur essendo ancora sempre preso a esempio dai patologizzanti.
Quando si dice l’ironia.
7 thoughts on “Epath: depatologizziamo o speculiamo?”
Mannaggia se lo sapevo che c’era Zucker, venivo a caricarlo di legnate.
Non ho capito, quindi le testimonianze dei detransitioner che ci stanno mettendo la faccia le dobbiamo silenziare?
No, però sono talmente poche che non fanno certo letteratura. Rispondono solo a una esigenza delle persone transfobiche.
Quindi, adesso non ha solo una figlia trans, ma pure un* second*: ed è il figlio più grande o la figlia più piccola? Ma no, non si faccia domande, continui pure arrogantemente a guardare con disprezzo il mondo cattivo, invece di interrogarsi se non abbiate dei problemi in famiglia.
Se i problemi in famiglia cambiassero l’identità di genere delle persone cisgenere, saremmo tutte persone transgenere
“Se i problemi in famiglia cambiassero l’identità di genere delle persone cisgenere, saremmo tutte persone transgenere” no, perché le persone rispondono in maniera diversa ai problemi: c’è chi sviluppa dipendenze di droga, chi magari ludopatia, chi depressione, chi risponde in maniera violenta, e chi sentendosi transgender. Evidentemente, nella sua famiglia e per i problemi che lei trasmette ai suoi figlio questi arrivano a sentirsi dell’altro genere, ma adesso vediamo quanto capiterà al suo terzogenito se non aprirà gli occhi, anche se sarebbe meglio che li aprissero prima i servizi sociali spagnoli.
Vedo che è molto informato sull’argomento!
Non esiti a scrivere ancora ogni qualvolta vorrà dare qualche altro suggerimento utile!