Ci sentiamo più liberi?

Qualche giorno prima dell’inizio della scuola a settembre ho preso appuntamento con la futura maestra di mio figlio. Non mi sentivo scioltissima nell’affrontare l’argomento anche perché la mia conoscenza dello spagnolo è abbastanza ridotta e quattro mesi fa ancora di più. Non sapevo bene  da quale punto di vista affrontare la cosa. Il preside, questo ragazzo che in Italia sarebbe oggetto di grandi contestazioni solo per il suo aspetto estetico (barba sempre sfatta, capello scompigliato, andatura alla Pippo, e giubbotto di Jeans anni ’80) mi mostra dove posso accomodarmi per aspettare la maestra. La maestra arriva ed è proprio una “maestra”: tra i 50 e i 60 in maniera abbastanza indefinibile, un po’ rotonda, vestiti semplici e uno sguardo da “voglio sapere tutto e speriamo di farcela”. Le racconto la situazione. Lei mi ascolta e mi dice: “Non c’è nessun problema, devo solo imparare perché in tanti anni di carriera non mi è mai capitata una situazione così”. Io le dico di stare tranquilla che la cosa non deve essere un segreto, che capisco che sia difficile, dopo solo poche parole, scardinare alcuni concetti ormai radicati da generazioni, ma che cercheremo piano piano di vedere insieme che cosa succede. Lei suda. Si asciuga la fronte col fazzoletto. Io sudo dentro e non ho nulla con cui asciugarmi. Mi chiede in quale modo noi a casa ci rivolgiamo a mio figlio e io dico che ci rivolgiamo al maschile, che lui non ha mai fatto esplicitamente richiesta di passare al femminile. Oltre  fatto che in Italia la transizione sociale in infanzia non esiste e quindi non avrei nemmeno saputo come gestirla. E comunque anche quando ho sondato il terreno mio figlio mi ha sempre risposto “E perché dovresti parlarmi al femminile?” (Qui ci starebbe bene una faccina di quelle con l’occhio sgranato, comunque andiamo oltre).

Finita la conversazione, la maestra mi chiede dove fossero i miei figli e io rispondo che erano fuori nel patio a giocare. Lei mi chiede di chiamarli e di presentarglieli.

Arrivano, tutti scalmanati dalle corse sotto il sole.

La maestra si presenta e poi inizia a domandare: “Sei contenta di rimanere a vivere qui in Spagna?” Mio figlio sta per rispondere ma lei si gira verso di me mi guarda smarrita e mi dice “Mi è uscito il femminile, vero?”. Io dico “No pasa nada!” Lei dice “Ma non va bene secondo quanto ci siamo appena dette!” E riguarda mio figlio e dice: “Mi pare che tu sia molto brava a capire il Castillano”. Lui sorride. Lei si rigira verso di me e dice “Non ci posso credere: l’ho fatto di nuovo!”

Sospira.

Si siede di fronte a mio figlio e dice: “Lori, la mamma mi ha detto che tu vuoi venire a scuola come Lori e noi non dobbiamo stare a spiegare a nessuno se Lori sia maschio o sia femmina. Lori è Lori e basta. Però io capisco di avere un problema che tu devi aiutarmi a risolvere. La verità è che io davanti a me vedo una bellissima bambina e in automatico mi escono gli aggettivi al femminile e questo probabilmente succederà anche agli altri. Così tu mi dovresti dire io come mi devo comportare. Se preferisci che io declini gli aggettivi al maschile o al femminile. So che la mamma e i fratelli a casa ti parlano al maschile. Ma a scuola cosa preferisci?”

Nelle settimane precedenti questo era stato un mio grandissimo dubbio. Ero felice che Lori sarebbe potuto andare a scuola vestito come voleva e usare il bagno che voleva ecc ma sapevo che presentandolo come “maschio a cui piacciono le cose da femmina” avremmo riproposto esattamente lo stesso schema usato in Italia e che lui probabilmente avrebbe anche qui dovuto spiegare se stesso a chiunque glielo chiedesse. Allo stesso tempo non volevo andare da lui e chiedergli troppo esplicitamente se volesse andare a scuola come una femmina perché non volevo che la mia domanda potete essere presa come una mia volontà. Avrei voluto che fosse lui a dirmi “Mamma, che ne pensi se quando inizierà la scuola io andrò come bambina?” Invece nulla!

Poi boom! In un nano secondo la decisione delle decisioni, così a bruciapelo…. senza troppa psicologia, dietrologia, analisi. Solo una leggera acidità di stomaco improvvisa!

“Lori – aggiunge la maestra – non devi avere paura e se vuoi pensarci me lo dici un’altra volta. Non stai decidendo se ti senti più maschio o più femmina. Tu rimani tu. Stiamo solo capendo cosa fare di questi aggettivi che purtroppo in spagnolo come in italiano vanno concordati”

“Al femminile, preferisco al femminile” risponde lui dopo qualche minuto di riflessione

Transizione sociale fatta. Tipo cesareo improvviso. Tipo spinta dallo scoglio nel mare ghiacciato che poi in verità diventa subito piacevole, ma cacchio quanto odi, mentre stai cadendo, quello stronzo che ti ha spinto!

“Tuo figlio ha scelto di essere femmina”, mi è stato detto più volte da allora.

No, io sono quasi certa che mio figlio abbia scelto in quale modo avrebbe avuto meno rotture di palle!

Viviamo qui da 6 mesi e da 4 Lori fuori di casa è ufficialemente una bambina.

Due giorni fa i miei figli stavano facendo i compiti. Io e Lori in camera leggevamo un libro e Francy in cucina scriveva del giorno di Natale. A un certo punto bussa alla nostra porta.

Entra e chiede: “Lolly, nella storia che sto scrivendo per la scuola, vuoi che scriva che sei mio fratello o mia sorella?” Lo chiede con una vocina un po’ imbarazzata non sapendo se la domanda possa essere inopportuna.

“Sorella”

“OK!”

Chiude la porta e se ne va.

Noi continuiamo a leggere.

Mi rendo conto che abbiamo abbattuto le barriere del genere. Le abbiamo completamente scardinate in maniera assolutamente naturale. Forse come dovrebbe essere.

Ma ci sentiamo più liberi?

All’interno del nostro branco certamente siamo più liberi. Nel senso che non ci interessa più chi è cosa. Ma fuori? Questa transizione ci rende liberi?

Non per non essere mai contenti, ma se sicuramente avere la certezza che nessuno prende in giro mio figlio, che lui può andare a fare la pipì finalmente con serenità, che nessuno più gli fa domande su perché si veste così ecc, è davvero un grandissimo sollievo, dall’altra mi sento ingabbiata semplicemente in un altro genere di gabbia.

Le istituzioni sono sicuramente dalla nostra. Poter parlare della questione con maestri, presidi, segretari ecc e sapere di avere pieno supporto è una pura meraviglia. Non potersi raccontare perché praticamente stai mentendo a tutti lo è molto meno. Eppure poi ti dici: su cosa sto mentendo? E in realtà non lo sai. Dovrei andare in giro a dire pubblicamente come sia conformato l’organo genitale di mio figlio? Non saranno cavoli suoi? Ecco che allora mi calmo e mi dico che davvero il problema è tutto di noi “grandi”.

Una cosa però è certa: la grandissima accoglienza anche in paesi molto aperti come la Spagna esiste fintanto che ti sposti da una casella all’altra. Questo non per cattiveria ma per disinformazione. La maestra di Lori infatti non si dà pace del fatto che lui in casa sia ancora “lui”. Mi domanda sempre perché non passiamo anche noi al “lei”. Mi dice che a scuola, fuori dall’ambito famigliare, mio figlio è a tutti gli affetti una bambina, che non ha mai dubitato un solo secondo riguardo al bagno in cui andare, che non ha mezzo comportamento che si possa attribuire al genere maschile, che non si confonde mai su se stesso. Io le ripeto che il suo è un viaggio a cui noi adulti possiamo partecipare semplicemente salendo a bordo e lasciandoci portare e che se lui non mi dice di  essere 100% femmina io faccio ciò che lui chiede.  Eppure lei è confusa. Si domanda se tutto questo non confonda ancora di più. E ovviamente a tratti me lo chiedo anche io. I dubbi sono sempre moltissimi. Poi lo guardo. Vedo che lui è sereno e resto a bordo in silenzio.

Capita poi che io voglia invitare delle amiche di classe a casa e la risposta è sempre “No, mamma, non mi va” e allora capisco che anche lui vive la mia stessa nuova gabbia. Ha paura che a casa si accorgerebbero di qualcosa? Esattamente, ma in maniera diametralmente opposta, come quando a Firenze nascondeva le fatine e le barbie prima che venisse qualcuno?

Mi viene chiesto cosa sia cambiato in noi con la vita in Spagna. E io rispondo sempre: noi siamo sempre gli stessi. E’ il fuori che è cambiato. E questo ti fa capire quanto conti tutto ciò che ti circonda nel bene e nel male. Quanto siamo condizionati in ogni cosa che facciamo. Anche chi come me cerca di fregarsene. E mi fa capire soprattuto anche la grandissima responsabilità che abbiamo di cambiare le cose.

C’è ancora tanta strada da fare. E forse la nostra generazione non vedrà mai il sole. Ma lo vedranno probabilmente i nostri figli se riusciremo a crescerli scardinando e eradicando quei concetti distruttivi e oppressivi che ci sono stati inculcati a noi.

 

 

 

 

 

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