Debutta alla 79esima Mostra Internazionale Cinematografica di Venezia “L’Immensità” di Emanuele Crialese. Del regista, di cosa parla il film, di chi sono gli attori e le attrici potete leggere un po’ ovunque. Quello che vi voglio raccontare io è qualcosa di più.
Ieri stavo tornando a casa spingendo il mio carrello della spesa, quello che in Italia usano le persone anziane, ma che invece nel mondo si usa, senza disonore, a qualsiasi età, per non dover sempre prendere la macchina. Mi arriva un messaggio whatsapp:
“Ciao Camilla, come stai? Come sta L.? Hai visto che sta per uscire ‘L’immensità’?”
Rispondo: “No che non l’ho visto! Dimmi tutto”
“Aspetta che ti mando una cosa!”
Un minuto dopo Emanuele mi manda il Trailer appena distribuito dalla Warner Bros.
Il video si carica a tratti. Devo tornare a casa per vederlo per bene. Mi siedo in camera mia. Lo guardo. Le lacrime mi scendono. “Io ci sono sempre per te!” aggiunge Emanuele. Ovviamente mi commuovo ancora.
Emanuele Crialese mi scrisse anni fa quando aveva terminato la sceneggiatura del film e stava iniziando i casting. Mi scrisse che il suo film avrebbe parlato di identità di genere, di una bambina che si sentiva un bambino. E voleva che il ruolo fosse interpretato proprio da una persona che si sentiva così. Voleva che lo aiutassi a trovarla.
Ci facemmo una bella videochiamata e parlammo del film sì, ma nemmeno poi tanto. Lui era in giro per Roma, per strada. Io in camera mia. Sembrava che ci conoscessimo da tanto. Forse l’età simile, forse le esperienze comuni. Non so.
Per trovare una persona giusta per lui chiesi a varie famiglie se erano interessate. Tra queste c’era anche la famiglia di Roberto di cui parlo nel mio libro “Gender Libera Tuttə”. Fu proprio grazie alla chiamata di Emanuele che casualmente telefonai alla mamma di Roberto e la trovai disperata, anzi peggio, rassegnata perché Roberto stava per essere mandato a vivere in una comunità per persone con patologie psichiatriche. Fu grazie a “L’immensità” che in una corsa contro il tempo riuscimmo a cambiare il corso della storia e Roberto raccolse tutto il coraggio che avevano cercato di togliergli e rimise in piedi tutti i pezzi di sé.
Poi arrivò il Covid. La produzione del film si mise in stand by. Emanuele decise che le vite delle giovani persone transgender erano già troppo delicate per coinvolgerne una in una esperienza mediatica di tale portata. Così scelse una ragazzina appassionata di motociclismo per il suo personaggio.
Ieri vedere quel trailer, sapere ciò che significa per tuttə noi, pensare che Emanuele in un momento tanto impegnato e impegnativo e emozionalmente pieno si è ricordato di me, mi ha fatto sentire estremamente fortunata per la magnificenza anzi, è il caso di dire, per ‘l’immensità’ delle connessioni e delle evoluzioni umane.
Mentre stavo sul divano ieri sera verso le dieci pensando di iniziare a guardare un film, Emanuele mi riscrive “Sono appena rientrato. Posso chiamarti?” Siamo stati un’ora e mezza al telefono parlando di passato, presente e futuro. Di famiglia, di relazioni, di cambiamenti, di vita, di paure e di strane non-paure.
Su quel red carpet che mette un po’ l’ansia, soprattutto in questa occasione, per i mille significati che porta con sé, ci siamo anche noi.
Non dico e racconto tutto questo perché fa figo dire “io conosco tizio o caio”. Avrei potuto dirlo tanto tempo fa. Lo dico ora perché davvero su quel red carpet ci sono anche io, ci sono i miei figli, c’è Roberto con sua mamma e la sua famiglia e la sua bellissima ragazza, c’è ogni piccola persona che oggi ci insegna che cosa sia davvero il mondo e come dobbiamo ascoltarlo. Io sono lì con lui perché so che cosa significa quel titolo: “L’immensità”. Lo so, lo riconosco in ogni sua minima sfumatura e piega nascosta. Ho la presunzione di pensare che sia importante anche per lui che siamo tuttə lì.
3 thoughts on ““L’immensità” dal divano di casa”
La storia di Roberto mi aveva molto colpito nel tuo libro e leggere ora questo post mi mette un sorriso in viso.
Grazie per il libro e tutto il resto.
Io vivo da anni in Svezia e da qualche anno in una scuola dove mi occupo di educazione sentimentale e sociale.
La raccolta di storie che è nel tuo libro rende anche più semplice parlarne a scuola.
Vorrei capire una cosa del movimento transessualista, dato che i sessi maschio e femmina designano realtà oggettive, biologicamente (pre)determinate (dal punto di vista anatomico, ormonale e perfino cromosomico – ma meglio sarebbe dire generico), mentre i generi uomo e donna, sono le rispettive “proiezioni” sociali/identitarie di questa dicotomia che invece ha natura psichica, psicosomatica, o psicologica: perché le persone transizionate ci tengono a voler affermare socialmente un passaggio di sesso (MtF o FtM) e non un passaggio di genere, che sarebbe MtW (Man to Woman) o WtM (Woman to Man)?
I termini MtF o Ftm, per quanto ancora a volte usati in Italia, sono invece assolutamente in disuso nel resto del mondo. Anche se le motivazioni sono differenti da quelle da lei sottolineate. Il genere che sentiamo prescinde l’anatomia e quindi si tende a slegarsi da essa. Non credo sia corretto parlare di “movimento transessualista”. Non esiste un movimento di questo tipo esattamente come non esiste un “movimento cis-sessualista”, essere trans non è un movimento, non vuol dire aderire a un principio. Non è nemmeno corretto dire che il sesso sia una realtà oggettiva predeterminata, lo dimostrano le numerose varianti intersex. Probabilmente ciò che spinge alcune persone a voler affermare socialmente il loro passaggio è la stanchezza e la consapevolezza che aderendo a qualcosa di predefinito forse potranno iniziare a vivere una vita meno difficile.