Nella nostra società viene considerato NORMALE quello che invece è semplicemente COMUNE in quel momento storico, in quel dato luogo geografico e in quel tipo di ambiente sociale.
A noi pare normale guidare a destra ma in Gran Bretagna , Australia, Nuova Zelanda, Giappone, Sudafrica e altri stati è normale guidare a sinistra.
A noi pare normale leggere un libro da quella che noi consideriamo essere la prima pagina che si apre verso sinistra, ma per tanti la nostra prima pagina è invece l’ultima.
Per noi è normale che sul campanello del portone in strada ci siano scritti tutti i cognomi di chi ci abita. All’estero questo è impensabile perché è una violazione della privacy e della sicurezza della persona.
L’idea di cosa sia normale o meno ovviamente e purtroppo vale anche per le persone. I cosiddetti “normali” o “comuni” sono direttamente proporzionali all’oppressione e alla discriminazione. Più una cosa è considerata fuori dal comune e quindi giudicata e ostacolata, più le persone tendono a nascondersi per mescolarsi tra i “giusti” dando quindi l’impressione che alcune “minoranze” siano ancora più minoranze di quanto non siano. Questo è ancor più vero per la comunità LGBTIQ+ in cui volendo, con grandi sofferenze, si può fingere di essere ciò che non si è per istinto di sopravvivenza.
Cosa succede quando ci troviamo a vivere in un paese con abitudini e regole diverse dalle nostre? Ci sentiamo noi differenti e non possiamo più fare le cose sovrappensiero, non possiamo più dare per scontato perché non possiamo prevedere. Dovremmo però imparare l’abilità di non fare e pensare in automatico e non farlo mai soprattutto quando si parla di persone. Nemmeno a casa nostra dobbiamo smettere di esercitare la curiosità e l’elasticità mentale.
La nostra società purtroppo considera da correggere, da ‘normalizzare’, tutto ciò che non è comune quando invece dovrebbe essere la società a creare ambienti che siano inclusivi e equi per tutti e fare informazione riguardo a tutte le realtà.
Quando una ‘qualsiasi’ persona che non ha nulla di sbagliato si trova a vivere in una società che non la prevede diventa automaticamente svantaggiata. Lo svantaggio però non è un suo difetto ma un difetto sociale.
Mi è sempre rimasto impresso nella mente il mio stupore di fronte alla quantità di persone che si muovevano con una sedia a rotelle quando vivevo in California. Mi domandavo come mai ce ne fossero tante. Le vedevi ovunque: per strada, in autobus, al supermercato, in spiaggia. Le vedevi esattamente in tutti i luoghi dove vedevi le persone che camminavano con le proprie gambe. Poi un giorno la mia banalissima intuizione: assenza di barriere architettoniche era la risposta. Non c’erano più persone che si muovevano in sedia a rotelle. C’erano più persone CHE SI POTEVANO MUOVERE IN SEDIA A ROTELLE. La società era così strutturata che doveva permettere a chiunque il libero accesso a qualsiasi cosa. Questo non solamente permetteva a tutti di avere una vita, ma faceva sì che ogni tipo di persona non fosse “guardata” come rara o diversa. Perché una società multietnica, multiculturale, multiabile, multiTUTTO rende tutti uguali agli occhi di tutti.
La nostra società – soprattutto quella italiana – vede, insegna e gestisce il genere come lo decide lei e non come è, obbligando le persone ad una asfissiante omologazione, pena l’esclusione sociale.
La presenza del Vaticano sul nostro territorio e di una fede cattolica spesso bigotta crea una società chiusa e ipergiudicante in cui fa molta fatica a inserirsi qualsiasi realtà che non richiami al 100% l’unica “tradizione” che l’ambiente ritiene ammissibile.
E’ in questo contesto che va inserita la realtà delle giovani persone trans. Potete immaginarne la difficoltà.
Ad oggi quasi nessuno in Italia sente parlare di identità di genere quindi una famiglia, a meno che non le capiti in prima persona di aver un figlio o una figlia trans, non ne saprà mai nulla. E ricordiamoci che quella stessa famiglia vive e lavora nella società dove porterà la sua NON conoscenza al riguardo. Esattamente come porterà la sua conoscenza nel caso contrario (per questo è importante farsi portavoce della propria realtà poiché uno dei vuoti più devastanti in Italia è l’assenza totale di referenti positivi).
Vivere insieme a una giovane persona che rompe gli schemi del pensiero scontato col suo solo esistere (in famiglia, a scuola o fuori) è una grandissima occasione per crescere e capire meglio il mondo.
In una società accogliente e che fa formazione i bambini e le bambine trans crescono serenamente come i loro coetanei come dimostrano gli studi della dottoressa Kristina Olson di Seattle che ha ricevuto tra gli altri il Waterman award – un riconoscimento del governo americano di 1 milione di dollari per aiutarla a portare avanti i suoi studi ritenuti importantissimi per la società.
La famiglia deve capire che il genere è molto più ampio di quanto si pensi e che quindi non vi è nulla di sbagliato in un* figli* che si comporta in maniera inaspettata o che dice di non riconoscersi nel proprio genere. E’ una cosa naturale. Ciò che non è naturale è una società che non ne parla e colpevolizza le persone per essere se stesse.